La gaia scienza di Ceroli
Qua
nun se n' esce: o semo giacubbini, o credemo a la legge der Signore. - G.G.
Belli
Il metodo di Ceroli è una “gaia scienza”, l’arte di utilizzare un patrimonio di cultura individuale e sociale per modellare il mondo dell’uomo in armonia con i suoi istinti vitali; è, nel senso nietzschano del termine, un’arte “orgogliosa”, in lotta contro tutte le pulsioni di morte. Secondo un motto citato da Nietzsche, “Lo spirito orgoglioso, il pavone e il cavallo sono i tre più orgogliosi animali del mondo”. Il cavallo è una delle prime immagini di Ceroli, che egli ha portato anche sulle scene del Riccardo III per offrire un supporto sagomato e irreale alla tagliente violenza del personaggio shakespeariano (come a un Gattamelata o a un Colleoni costretti a muoversi fra l’attrezzeria di una sala di giochi); e se fra tutti gli animali, fiori e oggetti che Ceroli si è divertito a rifare in legno manca ancora il pavone ci sono però le ninfee con la loro espansa tranquillità senza colori, le farfalle ingrandite in una immobilità plastica e antiornamentale, gli aquiloni a cui il legno conferisce evidenza e solidità senza togliere leggerezza; ci sono infine le ali di Icaro, che le complesse articolazioni fra le ossature e il fasciame trasformano in una leonardesca macchina per volare. Dello “spirito orgoglioso” Ceroli ha tutta la malizia, la leggerezza e la fluidità necessarie, che — secondo Nietzsche — sono doti proprie degli artisti in quanto consapevoli fabbricatori della menzogna “e nasconditori della natura”. E’ ancora Nietzsche che parla per lui: “ci occorre tutta l’arte petulante, fluttuante, danzante, schernitrice, fanciullesca e beata per non perdere quella libertà sopra le cose che il nostro ideale esige da noi” (La gaia scienza, 107). Possiamo approfondire il discorso. La “gaia scienza” di Ceroli e la “sua libertà sopra le cose” sono una definizione del classico, dello “spirito apollineo”, che strappa l’uomo al suo sogno di annullamento orgiastico, alla sua oscura volontà di regressione, trasformando l’angoscia in bellezza, che è poi un’anticipazione di futuro o — come diceva Stendhal — une promesse de bonheur, un mito di libertà e di felicità dominata. Da molte parti si è insistito sull’umanesimo e sul rinascimentalismo di Ceroli. Il rifiuto di ogni assolutismo estetico — questo estremo rifugio della teologia — e la sua traduzione in un radicale atteggiamento antropologico, ne sono il fondamento costitutivo. Nel mondo di Ceroli la centralità dell’umano è un fatto indiscutibile. A tale riguardo non ha importanza che l’uomo sia ridotto contraddittoriamente a un’ombra plastica, a una sagoma ritagliata su di una grezza tavola d’abete. Resta che l’architettura di questo mondo dipende ancora, come per Michelangelo, dalle membra dell’uomo. E se l’uomo manca, è comunque presente il suo equivalente geometrico, l’ astratta figurazione del rapporto proporzionale fra gli elementi del microcosmo: il cubo, la sfera, la piramide, la colonna. Che poi l’ astrazione dei rapporti si materializzi in cassette, casse, imballaggi, le cui strutture di prodotti artigianali elegantemente disinvolti sono esibite nella nudità del materiale povero, in chiodi, giunte, incastri, cardini e cerniere; che in sostanza la forma geometrica si esprima nell’artificio manuale della “fabbrica” con una immediatezza che ne rende impossibile la deduzione da un modello ideale, archetipo o progetto; ciò non contraddice, anzi conferma, il carattere fabrile di questo umanesimo anticontemplativo e pratico.