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Galleria de' Foscherari

via Castiglione, 2b
Bologna
+39 051 221308
Galleria de' Foscherari
 

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LILIANA MORO - UNDERFLOW

March 29, 2018 de'Foscherari
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LILIANA MORO “UNDERFLOW” - 24 MARZO -  30 MAGGIO 2018

La galleria de'Foscherari è lieta di annunciare la mostra di Liliana Moro dal titolo Underflow, che inaugurerà Sabato 24 Marzo alle ore 18. La mostra, la prima personale di Liliana Moro nella città di Bologna, presenta opere inedite realizzate con materiali e media diversi, che vivranno attraverso lo spazio, la presenza umana ed il continuo mutare delle condizioni esterne. Underflow (flusso sotterraneo) allude ad un pensiero che attraversa lo spazio, tra sabbia di fiume, acqua, terracotta forme e disegni. Si riferisce alla Terra, alla Natura, al nostro passaggio o meglio alla vibrazione del nostro passo che modifica la percezione dello spazio nel bene o nel male. Sabato 21 Aprile alle ore 18.00 avrà luogo, sempre presso la galleria de'Foscherari la performance "Buongiorno" realizzata in collaborazione con Live Arts Week ed inclusa nel programma del festival.

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VEDOVAMAZZEI - UNEXPECTED LANDSCAPES

February 1, 2018 de'Foscherari
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VEDOVAMAZZEI UNEXPECTED LANDSCAPES - 20 GENNAIO - 14 MARZO 2018 

Simeone Crispino e Stella Scala, meglio conosciuti come Vedovamazzei, vivono e lavorano a Milano. Artisti complessi, estremamente prolifici, che è impossibile inquadrare in un filone tematico, in una scia formale, in un unico metodo di lavoro. Il loro corpus di più di 900 opere testimonia di un lavoro continuo, sostenuto a volte da committenze straordinarie, ma anche quotidiano, di studio, scaturito dal confronto mai riposante tra le loro due menti. Le immagini che producono, dagli schizzi su carta alle installazioni gigantesche che hanno viaggiato per il mondo, hanno la forza di imprimersi nella retina dei fruitori molto più a fondo. Rifuggendo parimenti la purezza di forma e contenuto ma anche il puro scatto d’intelligenza, il ghigno tristo della trovata, i Vedovamazzei usano l’ironia in modo carnale, presentando i propri riflessi corporei, esponendo tutto il fuori misura che li contraddistingue, affrontando temi universali senza arretrare di un passo.

Per la mostra intitolata: ”Paesaggi inaspettati” , vedovamazzei utilizza una vasta gamma di media, tra cui scultura (Appliance#3), pittura (Floating human shit searching for the perfect storm in the mediterranean sea), e installazioni (Go-Do), affrontando un unico tema da tanti punti di vista. Esso si può definire un paesaggio politico con fraintendimenti letterali nel caso del neon, la traduzione di un fatto accaduto in un olio (The most visited place ever), e la creazione di una narrativa intorno ad un oggetto fallato, o il ritratto di un capriccio romantico e impossibile (Appliance picture). 

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EVA MARISALDI - SURROUND

January 22, 2018 de'Foscherari
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EVA MARISALDI SURROUND -  OPENING SABATO 14 OTTOBRE ORE 18.00 - DAL  14 OTTOBRE AL  10 GENNAIO 2018

La mostra personale di Eva Marisaldi riflette linee di pensiero parallele che si dipanano attraverso opere inedite realizzate con media diversi. 

Lo spazio della galleria ospita disegni, oggetti, suoni e immagini animate. 

L'animazione attraversa il lavoro di Marisaldi non solo nei video e negli storyboard, ma anche nelle forme immobili che fissano materiali effimeri e transitori. Processi di trasformazione e trasfigurazione costruiscono, nel tempo, nuove narrazioni.  

L' organizzazione dello spazio avviene per piani orizzontali - una serie di oggetti a terra, una scultura mobile in alto e una linea intermedia di disegni alle pareti -  in una giustapposizione temporale che rimanda alla densità di sollecitazioni a cui siamo costantemente esposti.

Basso - A terra saranno dislocati gli Spostati, scatole di cartone modificate con cartapesta, come fantasmi di oggetti “senza fissa dimora”. Cartone e cartapesta interessano l'artista perché materiali poveri e malleabili, usati per feste e sculture effimere: ”E’ un materiale alla mia portata. Gli scatoloni sono la schiuma della merce, parlano, suggeriscono. " Da alcune scatole filtrano suoni sommessi e insistenti, "una specie di toc toc toclegnoso e ripetuto che ho avuto modo di ascoltare di persona e mi è rimasto dentro 'a lavorare' per parecchi anni." 

Intermedio - Quattro serie di disegni, disposti su una linea alla stessa altezza che "gira" attorno alle sale, presentano immagini di laghi (tratti da Il Coltello nell'acqua), paesaggi di carta, uccelli, persone e mezzi sovraccarichi di oggetti ingombranti e coreografici.

Alto - Una scultura mobile attraversa il soffitto della galleria: un'onda che si propaga rimbalzando nello spazio, una lunga lisca in movimento che ricorda il volo degli uccelli di una cronofotografia. L'onda sisnoda sopra le nostre teste, avanti e indietro fino ad esaurirsi per poi ripartire. 

L’interazione di tutti questi livelli, spaziali e concettuali, filtra e trasforma frammenti e suggestioni del mondo in un grande disegno che ci circonda,

Durante il periodo di apertura della mostra è prevista una rassegna dedicata ai video dell’artista.

* “L’onda” e gli oggetti sono stati realizzati in stretta collaborazione con Enrico Serotti.

Un ringraziamento speciale a Giorgio Bedonni

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PROFANATION - GHENOS EROS THANATOS

March 7, 2017 de'Foscherari
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ARTISTI: DAVID ADAMO-VAJIKO CHACHKHIANI-KEREN CYTTER-RICCARDO PREVIDI-ANCA MUNTENAU RIMNIC-MATHILDE ROSIER -  24 APRILE  - 24 MAGGIO 2017

Ghenos, Eros e Thanathos (o come lo chiamerebbe Alberto Boatto: GET) è stato probabilmente uno dei progetti più radicali e significativi dell’arte, non solo italiana, dal secondo dopoguerra a oggi. A distanza di quarantatré anni non ha perduto nulla del suo smalto, ha anzi acquisito nuove sfumature e profondità. Il desiderio di Paolo Chiasera, mio e della galleria, di lavorare sull’idea di Boatto nasce proprio da questo: è impossibile ridurre GET a una qualsiasi importanza storica del tempo in cui è stata realizzata, non ha nulla di datato. Nel corso degli anni la mostra e il testo che la accompagnava hanno bensì aumentato il loro portato rivoluzionario, capace ancora oggi di presentarsi come una “pietra oscura”, un “edificio insondabile” e profondo, fastidioso e impossibile da osservare a lungo. Non a caso Boatto lo aveva costruito attorno ai tre semplici mattoni di cui è fatta la natura umana, il momento della nascita, l’eros e la morte, su cui poi viene appoggiato tutto il resto, e in cui la testata d’angolo del suo discorso veniva occupata dal Thanatos. I settanta erano anni di fede radicale in ideologie astruse, lontane dalla realtà e pericolose. Scegliere di fare una mostra così poco politica (intendendo “politica” nel senso più banale del termine) non deve essere stato facile, e immagino le critiche che può aver generato. Oggi viviamo anni di nichilismo peloso e verboso che si riversa anche nel mondo dell’arte, ma il risultato finale è sempre lo stesso: le mostre, le biennali, gli artisti trattano troppo spesso tematiche lontane dalla realtà, dalla tangibilità dei fatti che influenzano direttamente la nostra vita, i nostri corpi, la concretezza dell’esistenza e dei suoi avvenimenti basici. Siamo inondati di trattati su post fordismo, post colonialismo, il design degli anni sessanta, il modernismo degli anni trenta, indagini su spaccati sociali e antropologici; e abbiamo anche il coraggio di lamentarci se il pubblico dell’arte è così misero rispetto a quello degli altri linguaggi. E’ forse allora ancora più rivoluzionario oggi presentare queste tre istanze base, attorno a cui veramente si muovono le nostre vite e rispetto alle quali tutto il resto deve muoversi come funzionale e secondario. Alberto Boatto se ne è andato poco tempo fa, lasciandoci un’ultima testimonianza scritta che accompagna questo progetto di mostra come una guida, una stella. Assieme a questo testo e al libro pubblicato nel 1974, la mostra che lui fece è la base da cui siamo partiti a lavorare con Paolo, e da lui sarà reintegrata quasi fosse una visione magicamente rievocata e riportata in vita in una sua grande installazione che farà da spazio curatoriale e visiva per tutte le altre opere che verranno presentate. Si tratta di lavori di artisti delle ultime generazioni, che condividono lo spirito della mostra del 1974 e che si relazionano con le opere esposte allora, rigenerandole, pervertendole, e mostrando che esiste sempre una nuova vita per l’arte dopo la morte. 

Antonio Grulli

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GILBERTO ZORIO ..." LE OPERE OSCILLANO E FLUIDIFICANO DA UN SECOLO AL SUCCESSIVO"...

December 23, 2016 de'Foscherari

TESTO

AGGIUNTIVO

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SOPHIE KO - TERRA GEOGRAFIE TEMPORALI

October 8, 2016 de'Foscherari

TERRA - GEOGRAFIE TEMPORALI   -  8 OTTOBRE - 8 Dicembre  2016

Per la prima volta lo spazio della Galleria deʼ Foscherari di Bologna si apre per ospitare la personale di Sophie Ko Chkheidze (Tbilisi, 1981) artista georgiana che vive e lavora a Milano. La mostra è a cura di Federico Ferrari.
In questa mostra sono presentati i seguenti lavori: L'uomo accende a se stesso una luce nella notte, Atlanti (polittico), Terra (polittico), Kaspar Hauser, Stella polare (trittico).

Tutte le opere esposte sono Geografie temporali (a eccezione di Kaspar Hauser) ovvero quadri fatti di cenere di immagini bruciate o di pigmento puro che costituiscono il momento più intenso della riflessione poetica dell'artista sulle immagini. Lʼintera opera di Sophie Ko è incentrata sul senso delle immagini nella nostra vita e le Geografie temporali per la forza espressiva e per l’essenzialità della potenza figurativa entrano in dialogo con alcuni momenti fondativi della storia (e della pre-istoria) dell'arte.
Abbi cura della (tua) cenere - Le immagini vivono nel tempo, ne sono silenziose testimoni; le immagini scompaiono, ritornano nel tempo e al tempo sopravvivono. Le immagini portano con sé anche un proprio tempo: le immagini parlano del tempo che vivono, ci mostrano la loro scomparsa, la loro coriacea resistenza o addirittura una gloriosa rinascenza nella furia distruttiva della storia. Ma forse ciò che non sappiamo più riconoscere è l'estasi delle immagini, il loro (e con loro, noi) stare al di fuori del tempo. Come scrive Federico Ferrari, «quando tutto nel nostro tempo sembra diventato calcolabile, determinabile, dipendente dalla volontà umana, l'opera d'arte rende al mondo la possibilità che appaia l'ignoto». L'ignoto è elusione al mero funzionamento, immaginazione, azione libera. Lo stupore primordiale dell'uomo davanti all'essere ha nell'immagine la sua espressione più alta. Sotto questo aspetto l'immagine è l'annullamento dei limiti ordinari delle cose per portare alla luce la domanda dinanzi al puro che c'è. Nella nostra epoca tutto è divenuto immagine e proprio per questo noi siamo divenuti i più ciechi e i più incapaci di comprenderne il senso. Nel momento in cui lo spettacolo è allo stesso tempo il progetto e il risultato del sistema di produzione e di comunicazione, le immagini non ci dicono più nulla: semplicemente funzionano. Che cosa resta delle immagini quando se ne è fatto scempio? Cenere e colore. Da qui traggono origine le immagini di Sophie Ko. Così le Geografie temporali sono un ritorno alla domanda originaria dell'uomo dinanzi all'immagine, un retrocedere alla dimensione primordiale ed essenziale del fare immagine, nell'attimo della massima usura delle immagini. Le Geografie temporali sono un insistere sulla essenza delle immagini che da sempre interpella l'artista al di là di ogni linearità temporale della storia dell'arte. Come scrive Federico Ferrari in Finis initium «la cenere è quel che resta, quel che ci resta» di tutta la tradizione di immagini del passato. Le opere in mostra Kaspar Hauser, L'uomo accende a se stesso una luce nella notte, Atlanti, Terra – rispetto al nostro abituale rapporto con le immagini fatto di «nichilismo passivo», di incapacità persino di avere cura delle proprie ceneri – sono una forma di pietas per le immagini e per noi stessi. Una Geografia temporale ci interpella: «Abbi cura della tua cenere».
Oltre la distruzione della vita e delle immagini - È da questa cenere, da questo nulla cui è destinata la vita delle immagini nel nostro tempo che nascono le Geografie temporali, opere che prendono forma dal resto incombusto di immagini, dalla cenere di immagini bruciate. Fuoco e cenere testimoniano della distruzione delle immagini e allo stesso tempo sono ciò che rende possibile oggi l’esistenza stessa dell’immagine. Dal fuoco nascono immagini, la cenere stessa delle immagini diviene il corpo e l’anima di un’immagine non ancora vista, la cui storia non è ancora stata scritta, è anzi appena iniziata. Le Geografie temporali tentano di fermare l’attimo in cui l'immagine del passato continua ancora a bruciare, insiste a voler esprimere un senso, continua a vivere, nonostante il seriale consumo di immagini, a dispetto della loro sistematica consunzione. Il bruciare delle immagini è ciò che porta con sé la vita passata nel presente, è il crescere della vita al di là di ogni distruzione, al di là di ogni tempo. Il fuoco è sia forza distruttiva, sia capacità di resistenza che l’immagine testimonia al prezzo della propria vita. Così le Geografie temporali sono nuove immagini (o immagini da sempre), fatte di forme mutevoli e mobili di ciò che resta delle immagini dopo la loro usura: cenere e colore. La cenere delle immagini bruciate è la fine stessa di un'immagine, ma è anche un nuovo inizio: la materia, il colore tracciano una «iconografia dell’invisto» (Federico Ferrari), l’immagine può donare ancora senso alla vita, una volta che si sia tornati alla dimensione essenziale ed elementare dell’immagine stessa.
Le immagini segnano il tempo - Questa luminosità delle immagini prende vita nelle Geografie temporali che sono in continua impercettibile trasformazione. Le Geografie temporali sono dei segnatempi, sono delle clessidre, simboli cari alle prime nature morte, a ogni vanitas, a ogni memento mori. Con il passar del tempo la composizione del quadro cambia, la cenere o il pigmento cade, il tempo segna il suo passaggio, ma il tempo che una Geografia temporale misura con la sua stessa forza di caduta non è solo il tempo della distruzione, dell’esaurirsi della vita. La simbologia cui l’orologio a polvere rimanda infatti è duplice: da un lato indica l’inesorabile finire della vita, dall’altro concede all’uomo il tempo della meditazione, della profondità, dell’arte, dell’ozio; come cresce la sabbia sul fondo dell’ampolla inferiore, così la vita prende forma nel suo scorrere, nel suo rapportarsi alle forze naturali e non si vanifica. Le Geografie temporali ci mostrano come il tempo perda la durata per acquistare peso. Così il senso dell’immagine non si consuma, e la domanda dell'uomo dinanzi a essa continua a tornare.

 

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Toccare terra - Terra, è il titolo di questa mostra e le opere esposte appaiono come il tentativo di riportare alla visibilità la terra, di ridarne senso in immagine. Le immagini sono diventate vuote di senso perché non vediamo nemmeno più la terra. Il processo di illimitato ampliamento della ratio tecno-economica è giunto al punto di rendere invisibile proprio la terra stessa che vale ora solo come supporto di tale processo. Nelle opere di Sophie Ko la terra torna a essere ciò che è, uno dei quattro elementi del cosmo, il fondamento della nostra vita. Siamo accolti nella prima sala dalla Geografia temporale intitolata L'uomo accende a se stesso una luce nella notte, frammento eracliteo che ci invita a riconoscere la luminosità dell'immagine (e della nostra anima) nel grigio-nero della cenere di immagini bruciate. Nel prendere forma della cenere L'uomo accende a se stesso una luce nella notte mette in scena il rapporto tra tempo e immagine fatto di pressione e di distruzione del tempo sulle immagini, ma anche di formazione, profondità, rinascita delle immagini rispetto alla furia distruttrice del tempo. La Geografia temporale mette dinanzi ai nostri occhi che l'immagine non soltanto subisce il tempo, ma segna il tempo, lo porta a una forma, dà un senso e una direzione al nostro sguardo su questa terra. Le cinque Geografie temporali di cui si compone Atlanti fanno apparire dinanzi a noi la terra come grandi scogli che paiono dialogare con La scogliera sulla costa di Caspar David Friedrich: siamo giunti al limite della terra e solo ora la terra torna visibile come luogo da raggiungere, come scabra terra promessa, che chiede di essere abitata. Nell'azzurra lontananza degli scogli misuriamo la distanza che ci separa da essa. Nella sala delle tredici Geografie temporali di Terra siamo avvolti nella profondità della terra: procediamo immersi nella terra, come il cavaliere düreriano non possiamo più guardare dall'alto in basso le radici degli alberi, perché ora sono all'altezza della nostra testa. Torniamo a vedere la terra perché siamo sprofondati dentro di lei, ci troviamo nel fondo di un sepolcro. La terra ora ci si mostra non tanto grazie alla sua lontananza sublime, ma perché siamo avvolti in lei: «Terra sei e terra tornerai». A noi è lasciata la possibilità di costruire un nostro viaggio che iniziando dentro la terra, passo dopo passo, ci riporti alla luce, alla Gerusalemme celeste, meta del cavaliere di Dürer. Il riconoscimento della terra è al centro anche dell'acquerello Kaspar Hauser, l'unica opera in mostra in cui la dimensione figurativa della mano torna al centro dell'immagine. La figura mitica di Kaspar Hauser è il simbolo della esistenza umana: un viaggio incerto nella vita come quello di Kaspar si trasfigura nell'uomo su una piccola imbarcazione, che avvolto dal bianco, in silenzio si muove alla ricerca della propria terra. La terra non è ancora visibile, ma è quella la direzione del viaggio. Nella figura di Kaspar Kauser si riflette il movimento ellittico della vita umana: per ogni uomo, come scrive Georg Trakl, «un bene e un male sono preparati». 

PIERO MANAI - LUIGI PRESICCE - AUTORITRATTO CON MASCHERE 1899 -

March 22, 2016 de'Foscherari

AUTORITRATTO CON MASCHERE  - 31 MARZO 2016 - 30 giugno 2016

a cura di:  Antonio Grulli

La Galleria de' Foscherari è lieta di annunciare la mostra Piero Manai - Luigi Presicce, Autoritratto con maschere 1899, che inaugurerà giovedì 31 marzo alle ore 18:30. La mostra mette in dialogo il lavoro di due artisti di generazioni differenti come Piero Manai (Bologna 1951-1988) e Luigi Presicce (Porto Cesareo 1976 - vive tra Porto Cesareo e Firenze). Lo spunto iniziale del progetto è il dipinto del 1899 di James Ensor Autoritratto con maschere, che entrambi gli artisti hanno utilizzato come riferimento per un loro lavoro. Manai in un momento cruciale della sua vita si relaziona con l’opera del maestro belga ridisegnando le oltre cinquanta maschere in altrettanti frammenti di carta intelata. Presicce invece attinge all’iconografia del dipinto per uno dei suoi tableaux vivant. L’opera di Ensor è inoltre indicativa del percorso dei due artisti in mostra, accomunati da una ricerca incentrata sull’utilizzo del corpo come momento di introspezione personale e come materiale di creazione artistica. Corpo che diventa elemento centrale di un teatro fatto di scomposizioni e rielaborazioni anatomiche, continue messe in scena, fonte di allegorie e simboli che talvolta alludono al nostro rapporto con la morte. Mentre l’opera di Piero Manai è rimasta quasi sempre all’interno della pratica del disegno e del dipinto, Luigi Presicce spazia abbracciando anche la scultura e la performance. Ma per entrambi è cruciale il rapporto con la fotografia (e il video nel caso di Presicce), nel primo come suggestione iniziale per la creazione del lavoro, mentre nel secondo soprattutto come opera finale in cui spesso ricadono e confluiscono le sue azioni performative e i suoi tableaux vivant. Oltre ai due lavori legati al dipinto di Ensor saranno in mostra una serie di altre opere, realizzate in differenti linguaggi, che metteranno a confronto, facendoli dialogare, i due artisti. 

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GEORGE GROSZ - LUCA VITONE - BERLIN 192010 -

October 12, 2015 de'Foscherari

 BERLIN 192010 - 31 OTTOBRE 2015 - 10 FEBBRAIO 2016

La mostra nasce dal progetto di Luca Vitone di mettere a confronto due immagini di Berlino: quella sotto la Repubblica di Weimar e quella del periodo della Repubblica Federale dell’unificazione dopo la caduta del muro. Vitone “invita” George Grosz a presentare sue opere che raccontano la città del primo dopoguerra nel momento più effervescente e dinamico di una Berlino in espansione che la vede meta indiscussa, desiderata e raggiunta da autori del cinema, del teatro, della musica, della letteratura e delle arti visive, tanto da farne una capitale mondiale della creatività culturale. In quel lungo decennio, tra la fine degli anni Dieci e gli inizi dei Trenta, Berlino è anche una laboratorio politico che il mondo guarda con curiosità e apprensione, fino alle decisive elezioni del 30 gennaio 1933.

Insieme a un olio e a preziosi disegni e acquerelli di Grosz, Vitone presenta parte di una sua serie di opere dedicate alla città tedesca in cui racconta una personale interpretazione di come ha vissuto il cambiamento di Berlino da prima del muro, grazie a un soggiorno estivo avvenuto nel 1985, al ritorno nel 1996 per una borsa di studio e successivamente sempre più spesso fino a decidere di trasferirsi definitivamente. Con il crollo del muro, Berlino torna a essere un’attrattiva per la ricerca culturale internazionale tanto da diventare per una seconda volta meta desiderata per molte personalità di discipline e ambiti diversi. L’immaginario collettivo non tocca solo l’aspetto della cultura, ma necessariamente anche quello politico e la città diventa laboratorio di un atteggiamento utopico che tenta di trasformare l’aspetto sociale dell’abitante in una figura consapevole della propria autonomia e libertà individuale. Aspetti di un socialismo libertario opposti a ciò che era avvenuto, mediante il dogma, con la realizzazione del socialismo di stato che ha governato una parte della città per circa quarant’anni.

Mappe, oggetti che provengono dalla quotidianità e finestre aperte sul mondo sono gli elementi che compongono queste opere, affiancate dai colori della bandiera tedesca e da una giostra di biciclette da cui, pedalando, si può vedere un video che racconta in soggettiva l’attraversamento della ex-Berlino orientale da nord a sud soffermandosi sui dettagli del cambiamento. La mostra si apre esattamente un anno dopo, il 31 ottobre 2014, di quella svoltasi nella Galerie Nagel Draxler di Berlino, in cui per la prima volta sono state esposte le opere della serie “Der Zukunft Glanz” (Lo splendore del futuro) titolo che poeticamente si riconduce al motto italiano di tradizione socialista “il sol dell’avvenire” inesistente nella lingua tedesca.

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MICHELE SAMBIN - LOOKING FOR LISTENING

September 14, 2015 de'Foscherari

 LOOKING FOR LISTENING - 2 OTTOBRE - 24 OTTOBRE  2015

Il titolo della personale di Michele Sambin - Looking for listening - è traducibile da un lato come “guardare per ascoltare”, ma dall’altro può essere tradotto come “cercare per ascoltare”. Nasce quindi la possibilità di una doppia interpretazione che fa riferimento da una parte alla ricerca dell’artista, indirizzata verso particolari modalità di ascolto, che passano attraverso l’udito e la vista. Dall’altra cercare è un’azione che si fa prettamente attraverso gli occhi e in questo secondo caso il titolo funge da monito all’osservatore, un indizio attraverso il quale scoprire il senso delle opere lette solo attraverso l’ascolto del suono e la visione dell’immagine. Sin da qui si può comprendere che per Sambin l’arte non è un oggetto concreto, chiuso in se stesso, bensì un linguaggio intermediale composto di diversi mezzi espressivi - il video, il suono, la pittura, la fotografia, la pellicola, il corpo dei performer - e attraverso l’interazione che l’opera ha con la sua documentazione, sia essa posteriore o precedente. In tutti i casi, infatti, il processo di composizione fa parte e non si differenzia dall’opera e i documenti sono allo stesso tempo materialità e traccia di artefatti destinati a farsi fluidi ed effimeri. In ultimo, il titolo della mostra è lo stesso di un’opera eseguita la prima volta nel 1977 (di cui si parlerà in seguito) scelto appositamente per sottolineare l’altra tematica alla quale Sambin è legato, quella della temporalità. Da un lato il tempo è qui inteso come durata che s’impone allo spettatore, com’è caratteristico delle opere time-based; dall’altro, più idealmente, viene paragonato dall’artista a una spirale che torna su di sé uguale ma consumata, costantemente in divenire. Come il tempo anche l’artista torna indietro spesso sul suo lavoro, riprendendolo, citandolo, rivisitandolo in un continuo aggiornamento che si pone in continuità e non in opposizione con il passato.Per affrontare la complessità dell’operare dell’artista la mostra si articola in quattro parti, in osmosi tra di loro, che rispecchiano il fare di Sambin tra presente e passato e nelle diverse modalità di composizione tra i media artistici e i loro linguaggi. La zona dell’entrata corrisponde alla fase più contemporanea – le opere realizzate sono del 2015; l’artista, attraverso la pittura,analizza e trascrive le specificità dell’immagine video composta da linee e luce così come dai disturbi tipici del mezzo videografico anni ‘70. Si tratta, sin dall’inizio, di una compenetrazione tra due linguaggi, tra due mezzi espressivi e tra due tempi.

 

Vi è poi la video-installazione Oihcceps (1976-2015) composta da due monitor a tubo catodico sovrapposti, da cui sono trasmessi due video - il primo del 1976 e il secondo del 2015 - che danno, entrambi, il titolo all’opera. Anche in questo caso passato e presente sono messi a confronto attraverso l’evolversi del dispositivo tecnologico - bianco e nero/colore, immagine remota/immagine attuale - e mediante le due età nelle quali l’artista realizza i video, segno del passaggio del tempo.

Il percorso si sviluppa poi idealmente verso due opere-progetto disposte specularmente: in una intitolata Looking for listening project 1977 (2015) l’artista sintetizza in forma grafica le varie fasi che sottostanno alla realizzazione della performance eseguita nel 1977 per l’evento Artisti e Videotapes (Archivio Storico delle Arti Contemporanee de La Biennale di Venezia, 1977) e riproposta alla Galleria de Foscherari il giorno dell'inaugurazione della mostra; nella seconda, intitolata Looking for Listening utopia 2053 (2015), Sambin progetta un ipotetico reenactment – letteralmente rifacimento - della performance tra 37 anni, lo stesso tempo intercorso tra la prima realizzazione (1977) e la sua riproposta alla De Foscherari (2015).

Di ritorno dallo spazio dedicato a Looking for listening nelle sue diverse forme e prima di procedere all’ambiente successivo, vi sono i lavori su carta dal titolo Lxl frame, realizzati con trattamenti pittorici di frammenti dei video.

L’ambiente successivo, l’ultimo, è dedicato alla ricostruzione del modus operandi di Michele Sambin negli anni ’70. In un unico monitor sono trasmesse le opere monocanale realizzate tra il 1978 e il 1980 attraverso il sistema del loop, un vero e proprio dispositivo operale che consente all’artista di intervenire sull’immagine video moltiplicando il tempo e lo spazio d’azione.

Come già detto, non è solo l’opera finale che interessa Michele Sambin ma anche, contestualmente, il processo di realizzazione; questo non solo quando egli vanifica la concretezza materiale dell’oggetto artistico in operazioni effimere e processuali, ma anche quando realizza documenti – a loro volta opere - in forma grafica. La parete alla sinistra del monitor è quindi dedicata ai disegni che l’artista realizza in occasione della Settimana Internazionale della Performance (Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna, 1977, Renato Barilli), a testimonianza dell’azione Autoritratto per quattro camere e quattro voci. In essi è evidente la chiarezza espositiva con cui Sambin si rivolgeva (e rivolge) al pubblico, al fine di attivarne la capacità critica; l’artista dota gli spettatori di tutti gli strumenti necessari per l’analisi del suo linguaggio e il suo fare è spesso didattico.

A conclusione ideale del percorso espositivo vi è la serie Disegni Blu (1980-1985) che rende conto della crisi nei confronti delle reali capacità di un mezzo di comunicazione quale quello televisivo; sarà questa fase che porterà Sambin a dedicarsi prevalentemente, negli stessi anni e in seguito, al teatro multimediale (Tam Teatromusica). La TV non più pensata come strumento in mano agli artisti alla ricerca di linguaggi anticonvenzionali, ma piuttosto come mezzo volto alla massificazione, è diventata autoreferenziale, parla solo con se stessa e si ammala.

Lisa Parolo


IL CINEMA D'ARTISTA ITALIANO DALL'AVANGUARDIA ALLA VIDEOARTE

May 20, 2015 de'Foscherari
Gino de Dominicis

Dopo il felice esordio alla sala Cervi con la proiezione di Umano non umano (Mario Schifano, 1969), la rassegna Il cinema d’artista italiano dall’Avanguardia alla Videoarte prosegue presso la Galleria de’ Foscherari, dove, mercoledì 13 alle ore 18, avrà luogo l’evento programmaticamente intitolato Maurizio Camerani 1979-’89: un video, due video sculture e quattro disegni. 

Prende avvio così una selezionata documentazione della nascita e dei primi sviluppi della Videoarte (anni settanta e ottanta), che si articolerà sistematicamente per tutti i mercoledì fino al 10 giugno. Per realizzare nel modo migliore questo risultato la Galleria de' Foscherari e la Cineteca, promotori della rassegna, hanno coinvolto nell’impresa l’Archivio Storico della Biennale di Venezia, la Galleria Il Cavallino, sempre di Venezia, il CentroVideoArte di Ferrara e la Casa Totiana, che hanno generosamente messo a disposizione le loro ricche collezioni. 

Si deve anche sottolineare che le opere presentate non sono più state viste da quando furono realizzate e che anche allora ebbero una circolazione limitata. L’interesse storico-filologico si accompagna così al desiderio di verificare direttamente la sperimentazione con la quale cineasti, pittori, musicisti e scultori tentarono di opporsi all’onda lunga della restaurazione subentrata all’esplosione eversiva culminata nel maggio francese. L’impegno di questi artisti è, infatti, la ricerca di nuove forme espressive, di linguaggi alternativi, di una forma artistica che vada al di là della marcusiana “comunicazione dell’interruzione della comunicazione”.

E’ parso giusto iniziare questa sintetica storia dei più significativi sviluppi della Neoavanguardia cinematografica con la essenziale retrospettiva di Maurizio Camerani, uno dei protagonisti della sperimentazione effettuata nel corso di molti anni dal Centro ferrarese con risultati apprezzati in tutto il mondo. Segnale, una delle due video sculture, è un’opera del 1979 tuttora inedita nella forma in cui verrà esposta in Galleria, mentre Vista dal basso fu realizzata dieci anni dopo ed è stata ricostruita filologicamente dallo stesso artista, che sarà presente e disponibile al colloquio con il pubblico. 

Nell’ambito dell’evento, Lola Bonora, storica fondatrice del CentroVideoArte, illustrerà il programma completo dei video che verranno proiettati a partire da mercoledì 20 maggio. 

CALENDARIO DELLE PROIEZIONI PRESSO LA GALLERIA DE'FOSCHERARI

MERCOLEDI' 20 MAGGIO ORE 18.00  L'ARCHIVIO STORICO DELLA BIENNALE DI VENEZIA PRESENTA:

Vincenzo Agnetti  Documentario 2 ,1973

EnricoBafico Corrispondenza, 1975

Alighiero Boetti Ciò che sempre parla in silenzio e il corpo, 1974

Sandro Chia  Di come il fuoco rigenera la candela,1975

Giuseppe Chiari Spoleto Festival,1972

Gino De Dominicis Tentativo di volo, 1970

Andrea Granchi I militari,1975

Maurizio Nannucci  The missing poem is the poem, 1974

Lucio Pozzi Portrait of Maria Gloria, 1975

Proiezione a sorpresa di opere realizzate da:

Giovanni Anselmo, Pier Paolo Calzolari , Gino De Dominicis, Mario Merz, Gilberto Zorio

MERCOLEDÌ 27 MAGGIO ORE 18.00  LA GALLERIA DEL CAVALLINO PRESENTA :

Claudio Ambrosini Zoom, 1977 - De Photographia, 1976 -  VideoMusic, 1977 -  Luciano Celli - Television Screen, 1977

    Pier Paolo Fassetta e Luigi Viola - Frammenti di uno spazio interiore, 1980

      Michele Sambin - Il Tempo Consuma, 1978 - Anche le Mani Invecchiano, 1980 - Autointervista, 1980

        Guido Sartorelli - Tempo Spazio Superfice, 1974 - Analogie, 1978

          6. Mario Sillani - Narcissus, 1978 - Due Media,1979,

            7. Luigi Viola - Identity as Indentification, 1976 - Who is Luigi Viola, 1976

            MERCOLEDÌ 3 GIUGNO ORE 18.00 IL CENTRO VIDEOARTE DI FERRARA PRESENTA :

            Fabrizio Plessi  Acquabiografico, 1974

            Ricci Lucchi – Gianikian Viaggio di la rose, 1976

            Christina Kubisch Stille Nacht, 1975

            Giuliano Giuman Possibility of light, 1975 -  Possibility of shadow, 1975

            Giudo Sartorelli Proporzione alla memoria, 1975

            Fabrizio Plessi  Water Fan,1982

            Maurizio Bonora Sisma,1984

            Cristiana M. Ravenna Round in Square,1985

            Giorgio Cattani Metropolitan traces,1983

            Maurizio Camerani  La strada dell'abbandono disumano,1986

            Enzo Minarelli Chorus,1984

            MERCOLEDÌ 10 GIUGNO ORE 18.00  LA CASA TOTIANA PRESENTA:

            Gianni Toti Incatenata alla pellicola , 1983

             

            In fotografia
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