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Galleria de' Foscherari

via Castiglione, 2b
Bologna
+39 051 221308
Galleria de' Foscherari
 

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MICHELE ZAZA - SEGRETO COSMICO

October 3, 2020 de'Foscherari
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MICHELE ZAZA - SEGRETO COSMICO -14 DICEMBRE 2019 - 14 MARZO 2020

Sabato 14 dicembre alle ore 18 la galleria de' Foscherari inaugura la prima mostra personale di Michele Zaza a Bologna. La video-installazione site specific, Segreto cosmico 2018 e le due installazioni storiche Universo estraneo 1976, composta da ventisette foto, e Cielo abitato 1985, composta da sette foto in dialogo con ventuno sculture in legno, restituiscono un importante atto visivo sul tema dello spazio cosmico e della ricerca dell’alterità per Michele Zaza.

Dall’ipotesi di un “universo” alternativo al quotidiano, mediante l’astrazione delle molliche di pane sulla parete, a formare un campo di corpi ed elementi celesti, e attraverso il motivo delle bolle di sapone soffiate dal padre e dal figlio (in Universo estraneo), si passa alle immagini dei volti dell’artista e di sua moglie (in Cielo abitato) che si identificano con il cielo, diventando essi stessi dei corpi celesti - il bianco e il blu sintetizzano il cielo, mentre le pose rispondono al motivo della rotazione e moto dei pianeti, al movimento del cosmo – fino a una ipotesi più recente con Segreto cosmico dove il cosmo inventato, immaginato attraverso l’elaborazione e trasfigurazione degli elementi della vita, si configura con la profondità del video-ritratto su una sagoma a cuspide dipinta direttamente sulla parete, accompagnata da segni astratti tracciati con molliche di pane, non più fotografate ma presentate nella loro plasticità oggettiva.

Le atmosfere chiaroscurali, dal 1976 al 2018, nel passaggio tra un’opera e l’atra, si accentuano, e la composizione degli elementi (foto, scultura, video, intervento su parete) acquista la valenza di un tempo in divenire. Un continuo movimento irrisolto, come appunto la vita cosmica: un rituale dell’essere e del divenire. La mostra, concepita da Michele Zaza per la Galleria De Foscherari, crea un dialogo tra momenti diversi, da cui emergono alcune questioni centrali del percorso dell’artista, il suo pensiero e la sua poetica.

Il titolo della recente video-installazione allestita negli spazi della galleria dà il titolo alla mostra, esempio di simbiosi e osmosi tra arte e vita, astrazione ed esperienza, materia e spirito, spazio di un nuovo e diverso universo, mentale e immaginifico. Il legame tra maschile e femminile dei due volti in una dimensione totale, le forme scultoree in legno, il movimento delle mani nel video, il motivo del blu oltremare, disegnano un paesaggio cosmico, etereo e sognante.

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MARIO AIRO - IL PIPISTRELLO BIANCO

December 11, 2019 de'Foscherari

MARIO AIRO' - IL PIPISTRELLO BIANCO | 6 OTTOBRE AL 7 DICEMBRE 2019

Il titolo della mostra si riferisce ad una pubblicazione in cui l’autrice, con l’ausilio di anziani e giovani dongba (persone che officiano i riti, sciamani), traduce un libro rituale della tradizione Naxi, scritto nell’ultima lingua pittografica rimasta attiva ai giorni nostri. È una lettura estremamente affascinante e interessante: il racconto ha una grande potenza immaginifica e le figure mitiche che lo animano sono molto distanti dal nostro mondo mitologico e incarnano spinte spiritualestistenziali nate in un contesto molto molto diverso dal nostro brodo mediterraneo, in una terra appena al disotto delle grandi montagne himalaiane. Mi dispiace dover dire che i lavori in mostra non cercano di essere attinenti a questo ricchissimo universo simbolico, né cercano di illustrarlo: solo sognano un’armonia affine e cercano di accordarla allo spazio che li circonda e alla nostra cultura che più che in decadenza sembra entrata in un accelerato volo a vite.

Le immagini guida che mi hanno condotto a ciò che troverete in mostra sono state, oltre ai pittogrammi naxi, la visione, in un documentario, del monte Kailash - una delle figure più portentose che mi sia capitato di incontrare, una di quelle che ti fa comprendere appieno la potenza apotropaica dell’immagine per l’uomo ( e non è casuale infatti che per tre grandi religioni sia il posto di congiunzione, di connessione delle energie tra terra e cielo, tra divino e umano) - e gli spettri di assorbimento degli elementi chimici, specialmente gli intervalli tra le loro bande di frequenza, veri accordi luminosi. Che altro dire?, a voler essere rigorosi non bisognerebbe aggiungere più nulla: da qui in poi si entra in un territorio altro, nel reame dove a parlare sono le immagini e le forme tra di loro.

E bisogna seguire loro e come si muovono, come si connettono, si chiamano e richiamano tra loro, su linee di affinità e empatia; osservare come macinano e rimacinano la lingua madre, quella che darà loro sembianza forma senso e status simbolico, che darà loro apparenza e che donerà loro quell’incredibile potere di risonanza che riverberando farà ballare le nostre esangui sinapsi.

I lavori per fortuna sono e restano elusivi, sprezzantemente orgogliosi nella loro ermetica, annoiati dalle reiterate richieste di spiega. Ma in fondo il contenuto non è così importante, o meglio, il contenuto è sensibile, è quel sensibile che è subito idea, che hai incontrato e immediatamente come una termica improvvisa ti ha avvitato al cielo.

Mario Airò

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GLASS GHOST - VAJIKO CHACHKHIANI

May 31, 2019 de'Foscherari
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Quando sono intenti a esaminare un uomo, gli occhi di un animale sono vigili e diffidenti. [...] L'animale lo scruta attraverso uno stretto abisso di non-comprensione.

John Berger, Why Look at Animals?

La drammaturgia dell'artista

La pratica artistica di Vajiko Chachkhiani si caratterizza come una drammaturgia spirituale, mediante un'esplorazione di aspetti decisivi della vita umana, quali la morte, il rapporto irrisolto tra il passato e il presente e la cognizione individuale del dolore. Attraverso le sue sculture e installazioni, l'artista affronta condizioni psicologiche come la solitudine e la violenza, tracciando con esse un confronto serrato con la religione, la politica e la mitologia. Frequentemente basate su azioni trasformative, molte delle sue sculture hanno una natura ibrida, dove l'immagine iniziale diventa una chiave per accedere a una dimensione più profonda e oscura, non lontana dal territorio della psicanalisi. All'origine del lavoro dell'artista vi è il suo Paese natale, la Georgia, la cui cultura tradizionale è interpretata da Chachkhiani come una potente immagine simbolica della condizione umana. Ecco perchè oggetti presi dalla cultura agricola e artigianale della Georgia compaiono ricorsivamente nelle sue opere, non come ready-made ma piuttosto metafore capaci di parlare di eventi storici, della memoria collettiva e della temporalità dell'esistenza. In Chachkhiani le riflessioni filosofiche sulla libertà e sull'esperienza umana sono sottilmente evocate interpretate mediante l'elaborazione di materiali di scarto e privi di valore d'uso, come rami di albero bruciati, ossa di animali, porte di capanne abbandonate e altri ancora. In molteplici opere - scultoree, temporali e performative - l'artista manda in collasso la relazione tra la dimensione dell'intimità e quella pubblica indagando la dimensione della vulnerabilità, caratterizzata da isolamento e fragilità psicologica, e rappresentata da strutture come carceri e sanatori.

Secret that Mountain Kept

L'opera installativa in mostra, Secret that mountain kept (ghosts), prende avvio da un traumatico evento di cronaca occorso nel 2015 a Tbilisi, la capitale della Georgia e la città di nascita di Chachkhiani, quando il fiume Were ruppe gli argini e inondò le strade. La violenza dell'inondazione costò la vita a diciannove vittime e oltre trecento animali dalla zoo locale. Molti animali del parco zoologico, liberati da gabbie e recinzioni dall'impatto distruttivo dell'acqua e sopravvissuti al disastro, si trovarano a vagare per le strade della città. Una tigre aggredì un uomo allungando l'elenco delle vittime di quei giorni, trasformando un disastro naturale in un paradossale conflitto tra il regno naturale, quello animale e quello umano.Chachkhiani, allude nell'opera a questo evento, ricostruendone alcune tracce in termini simbolici e mitologici. In mostra compaiono una serie di zucche vuote ed essiccate, usate tradizionalmente in Georgia per mescere in tavola il vino conservato in giare di ceramica. Ogni zucca acquisisce nell'elaborazione dell'artista delle individuali caratteristiche zoomorfe, mediante delle inserzioni in ciascuna di esse di differenti zanne e artigli di animali. Il richiamo all'elemento del vino e al suo duplice valore, culturale e cultuale, simbolo del lavoro umano ma anche dell'aspirazione alla trascendenza divina nella tradizione cristiana, appare qui una rappresentazione traumatica di un mistero irrisolto. L'umano e l'animale e i loro diversi valori sono posti a confronto in una rappresentazione che mette a nudo i dati minimi di entrambi. Il mondo animale è per Chachkhiani, un abisso, un'alterità che si trova al di là del linguaggio e parla dell'origine dell'uomo e della sua solitudine come specie.

Harmonia mundi

Nell'opera di Chachkhiani, si trova un'eco delle antiche teorie della corrispondenza che dall'antichità greca sono giunte sino alla modernità europea attraverso la tradizione ermetica. La dottrina delle signatura rerum, è una forma originaria del pensiero e dell’attività umana nel tentativo di dare al mondo un senso attraverso la scoperta di un sistema di corrispondenze. Il pensare in corrispondenze premette la convinzione che ogni esteriorità abbia un’interiorità, ed è orientata allo svelamento di quest'ultima. La comprensione delle cose non consente solo di prenderne possesso, ma anche di conoscerne la natura interiore intima. Una quantità di esperienze elementari ripetute per generazioni nella storia dell’uomo, quali la frantumazione della scorza di un frutto per giungere alla polpa, o l’apertura della conchiglia di un'ostrica per coglierne la perla racchiusa nell’interno avrebbero stimolato la ricerca costante dell’interno delle cose. Tale esperienza avrebbe trovato applicazione nelle prime ricerche mediche, nella pratica dell’alchimia e dell’astronomia, per innalzarsi poi ad una dimensione spirituale. La scoperta delle corrispondenze aveva la tendenza di spiegare tutta la sfera della vita e tutta l’esperienza dell’esistenza, diventando una sorta di intuizione universale. Il pensare in corrispondenze tende infatti a muoversi sempre dall’alto verso il basso, individuando il terreno come specchio del celeste e gli eventi terreni come riproduzione o compimento di un evento di natura mitico-divina. Se Chachkhiani,allude nell'opera al pensiero mitico in forma di corrispondenze e ai prodigi di Orfeo che incantava animali feroci con la forza ammaliante della sua lira, è perchè Secret that mountain kept vuole salvaguardare la positività del valore di radicale diversità del regno animale, il suo essere un elemento di alterità che interroga l'uomo sul suo ruolo nel mondo. L'artista sottolinea così in quest'opera l'insostituibilità di ogni elemento naturale, animale e umano, avanzando una riflessione sul tragico insito in ogni gesto che rompa l'armonia dell'esistente. E' da interpretarsi in tal senso anche il secondo elemento dell'installazione, una carta da parati che reca le tracce di immagini scomparse, forse dei quadri rimossi, anch'essa traccia di un'ordine infranto, un tempo di compiutezza ormai estintosi e destinato a non poter più essere ricomposto.

Luigi Fassi

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LUNGO GLI ANNI...CONCETTO POZZATI ALLA DE FOSCHERARI

December 12, 2018 de'Foscherari
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1 DICEMBRE 2018 - 12 GENNAIO 2019

Era l’anno 1963 quando Concetto Pozzati presentò per la prima volta una propria opera alla Galleria de’ Foscherari: un dipinto di vaste dimensioni intitolato Grande spettacolo ortogonale,eseguito “in diretta”nello spazio della galleria, nel tempo di tre giorni e tre notti, a fianco di altri due artisti, Pirro Cuniberti e Luciano De Vita, impegnati, in una totale comunione di intenti, nella medesima sfida: lavorare fianco a fianco, come in un antico cantiere, ad un’opera ad un tempo personale e collettiva.

A quella mostra, alla de’ Foscherari fece seguito, l’anno successivo, la prima personale dell’artista e fu l’inizio di un sodalizio destinato a durare più di cinquant’anni, fino al giorno della scomparsa del pittore, in un rapporto che vide saldarsi indissolubilmente nel tempo: comunanza di visioni, partecipazione di passioni, fedeltà di impegno. Un rapporto che potrebbe dirsi quasi quotidiano, fatto di mille incontri, di fecondi confronti di idee, di fruttuosi scambi di notizie, di operosa tessitura di molteplici e rinnovate relazioni intellettuali .

Nell’arco di mezzo secolo, dal 1964 al 2014, sedici furono le mostre di Pozzati alla de’ Foscherari e ad esse una nuova avrebbe dovuto aggiungersi quest’anno, se la scomparsa dell’artista non lo avesse impedito.

Così, con l’intenzione di riparare per quanto possibile a quel vuoto, per ricordare l’amico, per ripercorrere la memoria di un così profondo e probabilmente irripetibile sodalizio, la Galleria presenta oggi questa esposizione che raccoglie e ordina una sfaccettata antologia dell’arte di Pozzati, attingendo, dal serbatoio delle opere presentate negli anni alla de’ Foscherari, un dipinto per ciascuna delle 16 mostre che vi si sono tenute. Sedici opere dunque, più una: una tela inedita, estratta dal gruppo di quadri che Pozzati andava eseguendo nell’ultima stagione della sua esperienza di pittore, con il proposito di presentarli nell’occasione della sua prossima mostra, dipinti ispirati alla “figura” della Vulva, un “motivo” denso di significato e di toccante potere evocativo, collocato, come si è ritenuto dovesse essere in questa circostanza, in apertura della rassegna.

E’ un omaggio che è gradito inaugurare il primo dicembre, nell’anniversario della nascita dell’artista e in concomitanza con due eventi profondamente significativi: l’apertura alle ore 12 presso la Biblioteca Emeroteca del MAMBO della sala dedicata alla raccolta di circa 4000 volumi della biblioteca di Pozzati, donata da Maura e Jacopo, figli dell’artista; l’incontro con proiezione , alle ore 17, presso l’Aula Magna dell’Accademmia di Belle Arti di Bologna, dedicato alle parole magistrali e all’insegnamento del pittore.

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ALBARRAN CABRERA - L'INDISTRUTTIBILE

December 1, 2018 de'Foscherari
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Angel Albarrán (Barcellona, 1969) e Anna Cabrera (Siviglia, 1969), fotografi spagnoli di grande talento, espongono per la prima volta in Italia. Presente da diverse stagioni sulla scena principale della fotografia mondiale, il loro lavoro, con il passare degli anni, ha assunto sempre più un carattere pittorico in cui si fondono, in equilibrio perfetto, elementi della cultura fotografica giapponese e luci, colori e atmosfere della grande pittura spagnola. I risultati delle loro stampe sono sorprendenti per qualità e complessità. L’utilizzo di una foglia d’oro, posta sotto la carta su cui è impressionata l’immagine, rende la luce delle fotografie misteriosa e profonda, facendo riverberare sotto l’immagine uno spettro luminoso enigmatico. Tanto nelle fotografie a colori quanto in quelle in bianco e nero si ha l’impressione di assistere alla genesi di qualcosa di primordiale, al nascere stesso di un’immagine. Un’immagine che testimonia di una realtà più profonda, di un “indistruttibile” - secondo la definizione individuata, sulla scia di Kafka, dal curatore della mostra Federico Ferrari – in cui il mondo appare sotto un’altra luce, immobile e cangiante. Ed è proprio alla quête di questo fondo indistruttibile che l’effimero scatto fotografico si pone alla ricerca, cercando di darne testimonianza proprio là dove esso pare essere sempre sul punto di svanire.

Le quasi venti opere di questa mostra si configurano come un percorso capace di ricostruire l’eterogeneo e, allo stesso tempo, estremamente coerente percorso di Albarrán Cabrera nel corso degli ultimi anni, lasciando anche spazio ad alcune fotografie mai esposte prima d’ora. Accompagna la mostra un testo programmatico di Federico Ferrari dall’omonimo titolo “L’indistruttibile”.

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MARIO CEROLI - LA GRANDE OCCASIONE

June 8, 2018 de'Foscherari
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MARIO CEROLI - LA GRANDE OCCASIONE - 7 GIUGNO -  3 OTTOBRE 2018

COLLOQUIO CON MARIO CEROLI

La grande occasione è il titolo che Mario Ceroli, durante un appassionato colloquio, ha proposto per questa sua personale, la decima allestita nella Galleria de’ Foscherari. Sono passati cinquant’anni dalla prima, la celebre Aria di Daria, realizzata in quell’anno memorabile che è stato il 1968, ma Ceroli ha mantenuti intatti il suo entusiasmo per l’operare artistico e la sua voglia di modificare il mondo. Parla, infatti, della sua grande occasione, a ottant’anni allegramente compiuti, di rileggere la straordinaria opera realizzata finora e continuarla in forme tanto affascinanti quanto inaspettate. Al vederle ci è balzata alla mente l’acutissima presentazione che dell’Aria di Daria fece l’indimenticabile Pietro Bonfiglioli, il quale, citando Nietzsche, definì il procedere dell’artista nell’esecuzione della sua opera una “gaia scienza”, cioè “l’arte di utilizzare un patrimonio di cultura individuale e sociale per modellare il mondo dell’uomo in armonia con i suoi istinti vitali; . . . un’arte orgogliosa, in lotta contro tutte le pulsioni di morte.” Ma torniamo alla nostra conversazione. Una grande occasione, ha aggiunto Pasquale Ribuffo, che era presente, anche per la Galleria, che può esibire alcune delle opere più significative fra quelle che l’artista ha recentemente realizzato con l’entusiasmo di sempre. Una grande occasione, voglio aggiungere io, per il pubblico e la critica che assistono in anteprima alla conclusione, provvisoria ovviamente, dell’attività di uno dei maggiori artisti italiani viventi.

A questo proposito, ricordo che la presentazione del catalogo con cui la de’ Foscherari ha accompagnato la mostra dedicata a Ceroli nel 2012 (Mario Ceroli 1962-1968) si concludeva chiedendo se l’artista dovesse ormai essere considerato alla stregua dei classici, oppure se la sua opera non si fosse ancora riconciliata con le Muse e mantenesse un potenziale innovatore tale da poter innescare inediti processi sperimentali. Ecco, allora, un’altra occasione, che mi auguro grande anch’essa, consistente nel tentare una risposta a quel quesito di fronte a questa esposizione, certamente innovativa tanto che, a prima vista, sembra segnare uno stacco netto rispetto al mondo sostituita da un suo equivalente in grezzo pino di Russia, con il quale finora, nel nostro immaginario, Ceroli si è in larga misura identificato.

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In realtà, se concentriamo la nostra attenzione sulle opere esposte, vediamo i fili sottili, ma estremamente resistenti, che le uniscono allo sterminato catalogo di sculture lignee raccolte nei principali musei e luoghi deputati di tutto il mondo. Non dobbiamo, infatti, fermarci al dato che più immediatamente ci colpisce e cioè che al posto dei volumi matericamente prorompenti scanditi dalle sculture abbiamo grandi superfici di tela segnate da pastelli a olio, ma seguire con sensibilità critica le evoluzioni delle matasse colorate per capire da dove vengono ed avere così la possibilità di intendere dove le condurrà il loro dipanarsi Proviamo ad osservare un’opera come Erotismo pompeiano (il rosso pompeiano è uno dei colori cari a Ceroli), ma anche Eco di un bacio e Io, la terra e la luna. Ecco che ci appaiono chiaramente, sulla scorta delle parentesi tonde e graffa, le analogie con le grandi lettere alfabetiche che l’artista tagliava nel legno fin dai suoi esordi. Può sembrare un’osservazione superficiale , ma non perdiamoci d’animo e passiamo a Onde gravitazionali oppure a La nuova coppia o, ancora, a Figura di donna, tutte ottenute manualmente impugnando i pastelli a mazzo. Risulta evidente che alla base del tutto c’è una sezione d’albero i cui cerchi concentrici subiscono torsioni e si avviluppano fino ad alludere a vere e proprie figure.

Ma se anche questa lettura non risulta convincente svelerò , tanto non è un segreto, che nella casa romana di Ceroli c’è un tavolo costituito dalla sezione di una sequoia millenaria. Ora sarà agevole vedere le linee della vita di quell’albero animate e colorate dall’artista che le ha fissate sulla tela per ricordarci che all’origine del suo operare c’è l’albero con la sua vitalità naturale. La lotta di Ceroli “contro tutte le pulsioni di morte” continua orgogliosa spostando il campo di battaglia sulla superficie, ma ricordando sempre da dove sgorga lo “ spirto guerrier”. Sappiamo bene che l’artista ha prodotto nel 1970 una delle sue opere più celebri, L’albero della vita, e sappiamo anche che l’albero non è soltanto un simbolo biblico, ma un ineludibile punto di riferimento in tutte le culture. Arrivati all’albero, alla radice prima dell’’attività di un artista che affronta la rilettura del suo passato con baldanza giovanile, lascio agli spettatori e agli storici dell’arte il compito di risalire fino alle grandi tele per svelarne il contenuto più profondo. Io aggiungo solo che credo di aver capito ciò che Ceroli intende più precisamente quando parla della sua grande occasione: andare con altri mezzi, all’apparenza più tradizionali, alla radice del suo operare per scoprire che essa è anche l’origine della vita.Siamo al punto sul quale si è concluso il nostro colloquio ed esattamente con l’asserzione dell’artista che la vita è la grande occasione offerta a tutti noi. Ora la questione si amplia, a mio vedere, fino a toccare la metafisica, terreno sul quale mi muovo con grande difficoltà. Posso dire però che “il falegname del mondo” continua, armato di pastelli, a lottare sulla tela Per la vita contro la morte, per citare un altro critico del moderno, l’americano Norman Brown.

Bologna, 1 giugno 2018

Vittorio Boarini

LILIANA MORO - UNDERFLOW

March 29, 2018 de'Foscherari
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LILIANA MORO “UNDERFLOW” - 24 MARZO -  30 MAGGIO 2018

La galleria de'Foscherari è lieta di annunciare la mostra di Liliana Moro dal titolo Underflow, che inaugurerà Sabato 24 Marzo alle ore 18. La mostra, la prima personale di Liliana Moro nella città di Bologna, presenta opere inedite realizzate con materiali e media diversi, che vivranno attraverso lo spazio, la presenza umana ed il continuo mutare delle condizioni esterne. Underflow (flusso sotterraneo) allude ad un pensiero che attraversa lo spazio, tra sabbia di fiume, acqua, terracotta forme e disegni. Si riferisce alla Terra, alla Natura, al nostro passaggio o meglio alla vibrazione del nostro passo che modifica la percezione dello spazio nel bene o nel male. Sabato 21 Aprile alle ore 18.00 avrà luogo, sempre presso la galleria de'Foscherari la performance "Buongiorno" realizzata in collaborazione con Live Arts Week ed inclusa nel programma del festival.

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VEDOVAMAZZEI - UNEXPECTED LANDSCAPES

February 1, 2018 de'Foscherari
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VEDOVAMAZZEI UNEXPECTED LANDSCAPES - 20 GENNAIO - 14 MARZO 2018 

Simeone Crispino e Stella Scala, meglio conosciuti come Vedovamazzei, vivono e lavorano a Milano. Artisti complessi, estremamente prolifici, che è impossibile inquadrare in un filone tematico, in una scia formale, in un unico metodo di lavoro. Il loro corpus di più di 900 opere testimonia di un lavoro continuo, sostenuto a volte da committenze straordinarie, ma anche quotidiano, di studio, scaturito dal confronto mai riposante tra le loro due menti. Le immagini che producono, dagli schizzi su carta alle installazioni gigantesche che hanno viaggiato per il mondo, hanno la forza di imprimersi nella retina dei fruitori molto più a fondo. Rifuggendo parimenti la purezza di forma e contenuto ma anche il puro scatto d’intelligenza, il ghigno tristo della trovata, i Vedovamazzei usano l’ironia in modo carnale, presentando i propri riflessi corporei, esponendo tutto il fuori misura che li contraddistingue, affrontando temi universali senza arretrare di un passo.

Per la mostra intitolata: ”Paesaggi inaspettati” , vedovamazzei utilizza una vasta gamma di media, tra cui scultura (Appliance#3), pittura (Floating human shit searching for the perfect storm in the mediterranean sea), e installazioni (Go-Do), affrontando un unico tema da tanti punti di vista. Esso si può definire un paesaggio politico con fraintendimenti letterali nel caso del neon, la traduzione di un fatto accaduto in un olio (The most visited place ever), e la creazione di una narrativa intorno ad un oggetto fallato, o il ritratto di un capriccio romantico e impossibile (Appliance picture). 

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EVA MARISALDI - SURROUND

January 22, 2018 de'Foscherari
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EVA MARISALDI SURROUND -  OPENING SABATO 14 OTTOBRE ORE 18.00 - DAL  14 OTTOBRE AL  10 GENNAIO 2018

La mostra personale di Eva Marisaldi riflette linee di pensiero parallele che si dipanano attraverso opere inedite realizzate con media diversi. 

Lo spazio della galleria ospita disegni, oggetti, suoni e immagini animate. 

L'animazione attraversa il lavoro di Marisaldi non solo nei video e negli storyboard, ma anche nelle forme immobili che fissano materiali effimeri e transitori. Processi di trasformazione e trasfigurazione costruiscono, nel tempo, nuove narrazioni.  

L' organizzazione dello spazio avviene per piani orizzontali - una serie di oggetti a terra, una scultura mobile in alto e una linea intermedia di disegni alle pareti -  in una giustapposizione temporale che rimanda alla densità di sollecitazioni a cui siamo costantemente esposti.

Basso - A terra saranno dislocati gli Spostati, scatole di cartone modificate con cartapesta, come fantasmi di oggetti “senza fissa dimora”. Cartone e cartapesta interessano l'artista perché materiali poveri e malleabili, usati per feste e sculture effimere: ”E’ un materiale alla mia portata. Gli scatoloni sono la schiuma della merce, parlano, suggeriscono. " Da alcune scatole filtrano suoni sommessi e insistenti, "una specie di toc toc toclegnoso e ripetuto che ho avuto modo di ascoltare di persona e mi è rimasto dentro 'a lavorare' per parecchi anni." 

Intermedio - Quattro serie di disegni, disposti su una linea alla stessa altezza che "gira" attorno alle sale, presentano immagini di laghi (tratti da Il Coltello nell'acqua), paesaggi di carta, uccelli, persone e mezzi sovraccarichi di oggetti ingombranti e coreografici.

Alto - Una scultura mobile attraversa il soffitto della galleria: un'onda che si propaga rimbalzando nello spazio, una lunga lisca in movimento che ricorda il volo degli uccelli di una cronofotografia. L'onda sisnoda sopra le nostre teste, avanti e indietro fino ad esaurirsi per poi ripartire. 

L’interazione di tutti questi livelli, spaziali e concettuali, filtra e trasforma frammenti e suggestioni del mondo in un grande disegno che ci circonda,

Durante il periodo di apertura della mostra è prevista una rassegna dedicata ai video dell’artista.

* “L’onda” e gli oggetti sono stati realizzati in stretta collaborazione con Enrico Serotti.

Un ringraziamento speciale a Giorgio Bedonni

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PROFANATION - GHENOS EROS THANATOS

March 7, 2017 de'Foscherari
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ARTISTI: DAVID ADAMO-VAJIKO CHACHKHIANI-KEREN CYTTER-RICCARDO PREVIDI-ANCA MUNTENAU RIMNIC-MATHILDE ROSIER -  24 APRILE  - 24 MAGGIO 2017

Ghenos, Eros e Thanathos (o come lo chiamerebbe Alberto Boatto: GET) è stato probabilmente uno dei progetti più radicali e significativi dell’arte, non solo italiana, dal secondo dopoguerra a oggi. A distanza di quarantatré anni non ha perduto nulla del suo smalto, ha anzi acquisito nuove sfumature e profondità. Il desiderio di Paolo Chiasera, mio e della galleria, di lavorare sull’idea di Boatto nasce proprio da questo: è impossibile ridurre GET a una qualsiasi importanza storica del tempo in cui è stata realizzata, non ha nulla di datato. Nel corso degli anni la mostra e il testo che la accompagnava hanno bensì aumentato il loro portato rivoluzionario, capace ancora oggi di presentarsi come una “pietra oscura”, un “edificio insondabile” e profondo, fastidioso e impossibile da osservare a lungo. Non a caso Boatto lo aveva costruito attorno ai tre semplici mattoni di cui è fatta la natura umana, il momento della nascita, l’eros e la morte, su cui poi viene appoggiato tutto il resto, e in cui la testata d’angolo del suo discorso veniva occupata dal Thanatos. I settanta erano anni di fede radicale in ideologie astruse, lontane dalla realtà e pericolose. Scegliere di fare una mostra così poco politica (intendendo “politica” nel senso più banale del termine) non deve essere stato facile, e immagino le critiche che può aver generato. Oggi viviamo anni di nichilismo peloso e verboso che si riversa anche nel mondo dell’arte, ma il risultato finale è sempre lo stesso: le mostre, le biennali, gli artisti trattano troppo spesso tematiche lontane dalla realtà, dalla tangibilità dei fatti che influenzano direttamente la nostra vita, i nostri corpi, la concretezza dell’esistenza e dei suoi avvenimenti basici. Siamo inondati di trattati su post fordismo, post colonialismo, il design degli anni sessanta, il modernismo degli anni trenta, indagini su spaccati sociali e antropologici; e abbiamo anche il coraggio di lamentarci se il pubblico dell’arte è così misero rispetto a quello degli altri linguaggi. E’ forse allora ancora più rivoluzionario oggi presentare queste tre istanze base, attorno a cui veramente si muovono le nostre vite e rispetto alle quali tutto il resto deve muoversi come funzionale e secondario. Alberto Boatto se ne è andato poco tempo fa, lasciandoci un’ultima testimonianza scritta che accompagna questo progetto di mostra come una guida, una stella. Assieme a questo testo e al libro pubblicato nel 1974, la mostra che lui fece è la base da cui siamo partiti a lavorare con Paolo, e da lui sarà reintegrata quasi fosse una visione magicamente rievocata e riportata in vita in una sua grande installazione che farà da spazio curatoriale e visiva per tutte le altre opere che verranno presentate. Si tratta di lavori di artisti delle ultime generazioni, che condividono lo spirito della mostra del 1974 e che si relazionano con le opere esposte allora, rigenerandole, pervertendole, e mostrando che esiste sempre una nuova vita per l’arte dopo la morte. 

Antonio Grulli

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