Espressionismo Tedesco
Dal 2 al 22 ottobre 1965
Willi Baumeister, Max Beckmann, Otto Dix, Karl Grossberg, George Groz, Erich Heckel, Hanne Hoch, Carl Hofer, Ernst Ludwing Kirchner, Emil Nolde, Max Pechstein, Christian Rohlf, Karl Schmidt-Rottluff, Sanger
I motivi dell’espressionismo tedesco
Di Mario De Micheli
Da qualche tempo, in Italia, l’interesse verso l’espressionismo è andato visibilmente crescendo. Forse perché da noi, in questi anni, si è sviluppata una situazione dove si possono riscontrare, sia pure in maniera diversa, taluni dei motivi che hanno provocato la nascita dell’espressionismo in Germania? E’ abbastanza difficile rispondere a una domanda del genere. Sta di fatto però che anche la tradizionale indicazione della critica d’arte moderna italiana per una linea di gusto francese ha perduto parecchie delle sue posizioni. Oggi l’espressionismo, così come si è articolato dentro la storia dell’arte contemporanea, appare, tra gli altri, come il movimento più ricco e complesso, un movimento che è andato oltre i limiti programmatici che qualche artista, o gruppo di artisti, ha voluto o tentato di segnargli. Forse si potrebbe dire che gran parte dell’arte moderna è immersa in una «condizione espressionista», poiché la maggior parte degli artisti contemporanei, e i più validi in particolare, hanno sentito o sentono i temi dell’espressionismo come i propri. Tali temi infatti sono ben lungi dall’essere esauriti ed essi, a mio avviso, continueranno a far parte della problematica dell’arte di oggi fin quando continuerà la mortificazione e l’oppressione dell’uomo.
L’evasione e la protesta sono due termini fondamentali di questa problematica, termini di cui le varie soluzioni espressioniste ci offrono esiti vari, la protesta si trasforma e diventa affermazione di denuncia e di lotta. La forza di questo movimento è derivata dal fatto che esso non ha evitato i problemi che la fine del secolo scorso aveva lasciato in eredità al secolo nuovo. La problematica dell’espressionismo, in altre parole, qualunque siano le soluzioni che esso ha cercato di darvi è stata una problematica vera, la sola vera forse che si poneva agli artisti europei all'inizio del secolo.
Enucleare i motivi che hanno costituito il lievito dell'espressionismo non è cosa semplice. Certamente, tra i motivi di fondo, vi fu l'esigenza di reagire alla piatta volgarità del filisteismo dell'epoca guglielmina, alle convenzioni, alla rispettabilità, all'ipocrisia della morale borghese: reagirvi con la sincerità delle passioni, con la violenza degli istinti primitivi. Ma vi fu anche la volontà di sottrarsi alla menzogna e alla durezza della società civile rifugiandosi nel « regno inalienabile dello spirito », dove nessuna forza esterna potesse penetrare e portare disordine: nell'ottobre del 1913, esponendo al Primo salone d'autunno allestito a Berlino, il gruppo del Blaue Reiter, di cui facevano parte Kandinsky e Klee, si presentava con una specie di manifesto dove tra l'altro si leggeva: « Non viviamo oggi in un'epoca in cui l'arte sia al servizio della vita. In altre epoche l'arte è il fenomeno che fa lievitare la pasta del mondo: tali epoche sono oggi lontane. Finché non siano ritornate l'artista deve tenersi distante dalla vita ufficiale. E' questo il nostro rifiuto, liberamente deciso, contro le profferte che il mondo ci fa; noi non ci vogliamo confondere con esso».
La società con la quale questi artisti non si volevano confondere era quella che aveva creato i miti del positivismo, mentre intanto preparava il massacro della prima guerra mondiale. Il loro rifiuto non era quindi soltanto di natura passiva: vi era implicito un giudizio e una presa di coscienza. Ma gli orrori del conflitto, le colpe della classe dominante tedesca, le contraddizioni degli anni che seguirono la sconfitta della Germania, impressero all'espressionismo anche un impulso realistico, acutamente polemico, militante. La « lezione » della guerra costrinse cioè più di un artista a mettere da parte le poetiche dell'evasione per scegliere il suo posto dentro la verità, sia pure ostile e sgradevole, delle cose.
lI gruppo della *Brücke*, con Kirchner, Pechstein, Müller, Heckel, Schmidt-Rottluff e Nolde, corrisponde per alcuni aspetti alla tendenza che vedeva nel primitivo e nell'espressione diretta dei sentimenti i valori più sicuri della propria ricerca; l'esperienza astratto-lirica di Kandinsky, insieme con il cristallino universo di Klee e il mito della purezza di Marc, è soprattutto legata al problema di salvare le virtù interiori dell'uomo fuori del furioso contrasto della storia in atto; la tendenza della *Neue Sachlichkeit*, da Otto Dix a Grosz, raccoglie invece gli artisti che intendevano l'arte come un mezzo di conoscenza della realtà e di intervento su di essa.
In uno scritto firmato con uno pseudonimo, Kirchner ha scritto: « Se si prende in mano un disegno di Kirchner come si legge una lettera o un libro che si apprezza, ci si verrà inavvertitamente a trovare in mano le chiavi di questa scrittura geroglifica. Egli disegna come altri uomini scrivono. Il geroglifico come segno espressivo di una realtà vissuta, scrutata fino al punto da cui scaturisce la sua energia, non ha nulla a che fare con la stilizzazione... ».
Sulla scorta di Van Gogh, Ensor e Munch, per gli espressionisti l'arte non era più semplice rappresentazione delle cose, ma doveva comunicare attraverso il mezzo stesso, il segno e il colore, il mondo emozionale dell'artista. Non più il colore naturale, ma il colore psicologico, o addirittura psico-fisiologico. Non più il segno che serve a chiudere e a definire una forma, ma un segno che fosse una sequenza d'impulsi, di scatti, di vibranti energie interiori: una scrittura figurativa, un modo di trascrizione di quell'onda psichica che scaturisce dalla profondità misteriosa dell'essere.
Per un tedesco del Nord come Nolde la scoperta del primitivo diventerà scoperta del primordiale. Egli finirà per attingere l'ispirazione alla regione stessa degli istinti, prima ancora che si ramifichi nei vari stati psicologici: in questa regione non esistono le piccole categorie del reale, è una regione dove s'incontra solo la buia cadenza del sangue. Qui vivono odio e terrore, sesso e morte; qui, nel profondo, si agitano le potenze che uniscono l'uomo alla natura.
Dove si arriva per tale strada? Anche questo è uno degli aspetti dell'espressionismo. Per questa strada si arriva alla « destoricizzazione » del sentimento: è la strada verso una concezione esistenziale dell’arte: cogliere nella realtà, il nucleo eterno, immutabile di essa. Per questa strada, a furia di eliminare le determinazioni storiche dell’esistenza, si giungerà a identificare l’eterno con un mero dato fisiologico indifferenziato. Così, in ultima analisi, si giunge a un processo di misticizzazione del naturalismo, il cui punto estremo d’arrivo, oggi, ha potuto essere l’informalismo.
Se c’è stato un movimento non « programmato » questo è stato proprio l’espressionismo, che si è allargato rapidamente a tutta l’Europa perché corrispondeva ad una situazione generale. Ma esso è stato un movimento vitale anche perché è riuscito a creare dentro di sé una dialettica viva, fra tendenza e tendenza e fra artista ed artista. Le posizioni di Nolde o di Klee, ad esempio, non erano accettate da un Grosz, da un Dix, o da un Beckmann.
Degli artisti espressionisti d’ispirazione realistica, Otto Dix, in Italia, è il meno noto. Il suo nome è citato spesso, ma le sue opere quasi mai si possono vedere esposte. Eppure è senza dubbio uno degli artisti più significativi e singolari, almeno tra il ’17 e il ’30. Dai suoi quadri di guerra anche Max Ernst trarrà più di una suggestione. La sua gelida, tagliente maniera era ben giustificata. Nel suo atteggiamento c’era una specie di impeto freddo, di inderogabile determinazione, che dava alla sua visione una particolare durezza. Sembra che Dix non volesse introdurre alcun sentimento in tale visione. E perché, infatti, aggiungere il commento del sentimento a una realtà già di per sé così atrocemente eloquente? Il suo modo di deformare l’immagine e di mettere in risalto quasi con freddezza clinica gli elementi più crudeli della visione, faceva parte di una spietata passione per la verità, di una coscienza che voleva redigere un preciso atto d’accusa.
Analoga è la posizione di Grosz. Per foggiarsi un mezzo espressivo adeguato, egli mise da parte quanto gli avevano insegnato alla Accademia di Dresda e si rivolse piuttosto all’epigrafia popolare, ai disegni scarabocchiati sui muri delle strade. E’ ormai famosa la sua dichiarazione: « Per ottenere uno stile corrispondente alla bruttezza e alla crudeltà dei miei modelli, ho copiato il folclore degli orinatoi, che mi sembravano l’espressione più immediata, la traduzione più diretta dei sentimenti forti...».
Ma anche questa sua psicologia irritata, conturbata dal sesso e dal sadismo piccolo-borghese, Grosz riuscì a farla servire a una maggiore penetrazione dell’argomento, la strizzò sulla pagina come un acido corrosivo. I suoi disegni quindi non erano soltanto un atto d’accusa fatto da una tribuna morale elevata al di sopra della generale situazione: erano anche una confessione. Di qui la loro inquietante efficacia. Questa gente che si agita nelle strade, che mangia, che beve, che frequenta la chiesa, questi borghesi «irreprensibili», questi capitani d’industria, questi difensori della patria, questi uomini d’ordine, non hanno segreti per Grosz. Egli li spoglia, ne mostra la disgustosa nudità sotto i frac e le divise. Li scopre fisicamente, ne rivela sotto i panni le sconce obesità, gli stomaci villosi, i sessi ripugnanti; e ne fa affiorare, nella fisicità così brutalmente messa a nudo, gli istinti bestiali, la vocazione alla ferocia.
Nella presente mostra sono documentati soprattutto gli aspetti dell’espressionismo della Bruche e quelli dell’espressionismo realistico, benché non manchino neppure « testi » di Marc e di Feininger collegati all’esperienza del Blaue Reiter. Ciò che rende particolarmente interessante questa esposizione è però il fatto che i « pezzi » presentati si collocano tra le due date fondamentali della vicenda espressionista, e cioè tra il 1905 e il 1925. Tra queste due date infatti si condensa la esperienza più viva e appassionata degli artisti tedeschi, prima che la persecuzione nazista li disperdesse per il mondo. Ma c’è anche un altro motivo che rende la mostra particolarmente interessante, ed è che le opere esposte sono opere grafiche, quasi tutti disegni, ma anche litografie e incisioni. Chi sa quale importanza gli espressionisti dessero a tale attività, considerata di solito « minore », riconoscerà subito il valore di questa mostra. Si può dire infatti che sono stati gli espressionisti a rilanciare il gusto per l’opera grafica, in cui essi vedevano il modo più immediato per manifestare i loro umori, i sentimenti e i risentimenti, ed anche i lori giudizi fulminanti sulle contraddizioni della epoca. Una mostra della grafica espressionista, così difficile da mettere insieme, è dunque un avvenimento da sottolineare senza esitazione. Guardando questi fogli, si pensi all’influenza che gli espressionisti hanno avuto, ed ancora hanno, dall’Europa all’America. Forse un giorno sarà il caso di ristudiare l’espressionismo anche da questo punto di vista. Oggi, comunque questa folta serie di opere giustifica senz’altro l’interesse che intorno all’espressionismo e ai suoi problemi è andato così largamente crescendo negli ultimi tempi.

